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Turris Magna Orsiniana

Cenni storici

 

 

 

La Torre, parte integrante del Palazzo dei Principi Gallone, eretta nel cuore del XV secolo da Giovanni Antonio del Balzo Orsini, Principe di Taranto, assume la nomea di Orsiniana come tutte le altre opere dell’Orsini sparse nel Salento.

Registrata in un inventario della Terra di Tricase del 1455, la torre è impostata su un’elevata base scarpata con i suoi 25 metri d’altezza, è stata per lunghi anni una delle strutture turrite più imponenti dell’intera Terra d’Otranto seconda solo alla torre federiciana di Leverano (LE). A Tricase, da baluardo più esposto quale era, serviva a proteggere la Terra fortificata insieme ad altre dodici torri minori. Per questo prese la denominazione di Turris Magna.

Disposta su quattro livelli, la torre era una vera e propria fortezza autosufficiente, con cisterna, granai e forno, ed una campana in cima, che ha scandito i momenti più difficili della Tricase del passato. Al primo piano vi era l’ingresso alla torre, che avveniva tramite un ponte levatoio. Tramite una scala interna alla muratura si accede all’ammezzato della torre, costituito da due piccole e basse stanze situate nel mezzo della struttura: le prigioni. Dalla camera più piccola è scaturito il nome di Torre della Fame, perché in quest’ambiente venivano rinchiusi i prigionieri e fatti morire di fame.

Nella stanza più grande, tre delle quattro pareti verticali sono interamente ricoperte da incisioni di ogni genere: iscrizioni, volti umani, animali, arbusti, imbarcazioni, croci. Quest’insieme di graffiti costituisce uno specchio della vita di Tricase nei secoli XV e XVI, perché ogni segno è da inserire nel contesto di una Terra in continua crescita economica, libera dalle tasse regie e munita di un porto naturale. Sulla parete frontale all’ingresso trova posto la figura di un grande soldato in posizione di guardia, con abiti tipicamente orientali, degli arbusti, palme da cocco, la chiara sagoma di un leone (il leone simbolo della Repubblica marinara di Venezia). In seguito, s’incontra il graffito esteticamente più apprezzabile dell’intera prigione, il busto di un soldato con abiti, cappello, orecchino, fodero e soprattutto sciabola tipicamente orientali. Dalla raffinatezza degli abiti e dal copricapo pronunciato e arricchito da una punta di piuma (di struzzo) si può dire che si tratta di un Giannizzero, un membro del corpo scelto della milizia turca. Di seguito si trova l’iscrizione più chiara che cita: “iobe rardino co. 1586 fui pigliato”. Al lato, in basso si nota un graffito, che letto con un altro vicino lascia pensare ad un combattimento: un soldato a cavallo impugna una lunga lancia in direzione di alcuni segni che rappresentano la bocca dentata di un grosso mostro.

La parete di fondo, caratterizzata da una nicchia e dal taglio della finestra è incisa da graffiti di marinai, pescatori e viaggiatori. Nella rientranza si delineano sul fondo due grandi gruppi di graffiti, una serie di pesci che circondano una bella imbarcazione rigorosamente a remi e una croce patente. I pesci sostituiscono le classiche tacche verticali con cui i prigionieri contavano i giorni. Sulle pareti laterali della stessa nicchia sono presenti numerose civette che rappresentano il volatile benaugurale dei marinai. Nella prigione furono rinchiusi non solo ladri, evasori, o malviventi, ma anche persone di rango come un Arciprete. Sull’architrave destra della nicchia si trova l’iscrizione: io dono Dominico Paduano IIII. Don Domenico Paduano, Arciprete di Caprarica del Capo dal 1616 al 1633, poco ligio al suo dovere, personalità turbolenta più che uomo di chiesa, rinchiuso in prigione per quattro giorni come testimoniato dalle quattro tacche poste sotto al suo nome. A lato della nicchia ancora imbarcazioni ed iscrizioni come: “dopodomani ve saluto”, o “alle 27 de febraro 1607 io Antonio….mano propria”.

Cartolina

La sequenza di graffiti più significante raffigura una scena d’attacco alla Torre. 1480, i Turchi prendono Otranto e saccheggiano il Salento spingendosi fino a Tricase. Un insieme di soldati orientali, armati fino ai denti, attaccano da tutti i lati la Turris Magna, difesa da soldati con armatura spagnola, disposti davanti alla porta e dietro alle feritoie. In primo piano il duello principale: un turco che colpisce con la sua sciabola la testa dello spagnolo. Testimonianza che gli assalitori non espugnarono la Torre, ed anzi, qualcuno di loro fu catturato e imprigionato nelle sue segrete.